Ciao e benvenuto al podcast “finanza semplice” di Alfonso Selva, il podcast dove si parla solo di finanza in modo semplice.
PUNTATA N°60
A.S.: Buongiorno e benvenuto ad una nuova puntata del podcast “finanza semplice” di Alfonso Selva. Oggi c’è un ospite molto famoso, che se un minimo ti occupi di finanza o vedi qualcosa relativo alla finanza, la Borsa, gli investimenti, lo avrai sicuramente visto in video. È un giornalista professionista presso Class CNBC, Carlo Cerutti è molto giovane ma molto sul pezzo e molto famoso, lo vedrai diverse volte al giorno se guardi quest’emittente che parla di Borsa. È un giornalista professionista che è molto esperto in questo campo e ho l’onore di ospitarlo qui nel mio podcast, per dare un suo contributo dalla parte da giornalista a quello che è la finanza semplice. Cerchiamo di rendere un po’ più semplice certe cose un po’ più complicate.
A.S.: Benvenuto, Carlo!
C.C.: Ciao Alfonso, ben ritrovato!
A.S.: Grazie di aver accettato l’invito a partecipare al podcast, grazie molte. Io ti ho presentato, ho detto solo due parole su di te, però insomma magari se tu racconti un po’ agli ascoltatori chi sei, cosa hai fatto, racconti un po’ più di te hai un po’ più da raccontare. Ecco, questo se lo fai tu sono un po’ più contento.
C.C.: Certo. Hai detto bene, sono un giornalista professionista qui a Class CNBC, che per chi dei tuoi ascoltatori non ci seguisse, il canale è il 507 di Sky, oppure basta che scrivete Class CNBC Live su Google, e il primo link sarà dove vederci in streaming. Ho iniziato a fare il giornalista molto presto, avevo 16 anni, lavorando a “Il Cittadino” di Lodi, un quotidiano locale e poi a 22 anni sono passato nel giornalismo finanziario perché era un campo che mi piaceva, c’era anche occupazione in questo campo. Ho iniziato con una breve esperienza al desk della Thomson Reuters a Milano e poi è il nono anno che sono qui a Class CNBC e quindi ho progressivamente fatto tra virgolette “avanzamenti” di carriera qui dentro e adesso mi occupo principalmente dei TG della mattina. Ecco, questo è più o meno il mio percorso professionale.
A.S.: Senti ma tu sei a Londra o sei a Milano?
C.C.: Allora noi siamo basati a Milano e pre-Covid si girava molto più spesso, per esempio seguivo i Consigli Direttivi della Banca Centrale Europea a Francoforte o mi capitava molte volte di essere fuori redazione, adesso Ovviamente siamo un po’ tutti fermi perché la situazione impone il massimo distanziamento e quindi siamo nella nostra redazione di Milano.
A.S.: Siete un po’ come noi consulenti finanziari che cerchiamo di fare tutti gli incontri possibili Zoom o quant’altro e poi se proprio dobbiamo incontriamo le persone dal vivo, ma insomma penso che sarà suppergiù uguale anche per voi.
C.C.: Sì, diciamo che il Covid ha un po’ cambiato tutto il settore, interviste video via Skype, via Zoom sono proprio diventate il pane quotidiano e gli stessi ospiti che intervistiamo hanno progressivamente messo una qualità maggiore anche nelle stesse inquadrature che si fanno o anche nel set e hanno a casa loro. Un tempo, fino al 2019 fare una intervista su Skype o Zoom sembrava qualcosa di incredibile e rivoluzionario adesso è semplice quasi come chiamarsi via telefono e quindi è una notevole evoluzione.
A.S.: La fa anche mia madre che ha 85 anni, pensa un po’. Si fa le cose su Skype o su Whatsapp, quindi voglio dire ormai è diventata una cosa naturale e normale un po’ per tutti. Senti, ti farò qualche domanda su cui chiaramente dovresti saperne più di me, perché un giornalista che sta molto più a contatto di me con le fonti del potere economico e politico italiano ed europeo, dovresti essere più preparato di me su questo. Io leggo sui vostri giornali, seguo le vostre trasmissioni ma chiaramente sono sempre “di qua”. Ti farò qualche domanda e mi piacerebbe avere un po’ di notizie inside, se puoi, su certe cose.
Partiamo da questo, da le elezioni americane che tra poco ci saranno. Secondo te che impatto potranno avere sul lato economico e politico nel mondo, per l’Europa e anche in Italia e chiaramente poi si riverbererà sulle borse. Poi io ti dirò cosa ne penso io del discorso a livello di azione e borsa, però mi piacerebbe sapere cosa si dice nel vostro ambiente e cosa ne pensi tu, insomma.
C.C.: Certo. Innanzitutto una considerazione, questa campagna elettorale che è arrivata al rush finale è stata dominata dal tema del Covid. Si è provato ad ignorarlo quando da noi era già una realtà purtroppo consolidata a febbraio/marzo, ma da fine marzo in avanti i due candidati Biden e Tramo hanno parlato esclusivamente di Covid e poco altro, e il fatto che il presidente sia stato poi contagiato ha ulteriormente intensificato il dibattito in proposito. Bisogna innanzitutto capire una cosa, che l’agenda economica dei due candidati al netto della narrazione di quello che si vuole rappresentare come la posizione politico-economica di democratici e repubblicani, è molto molto simile. Si è parlato poco di agenda economica, ma l’agenda economica dei due candidati combacia in molti punti – tra poco li vediamo se c’è tempo – e questo significa che in termini di progressione una volta che la pandemia sarà risolta, si spera a fine ’21, per i successivi due o tre anni vedremo delle agende pressoché simili. Per esempio, ricorderete che Trump è stato un fautore dell’America First made in America cioè prima i prodotti americani e entrambi i candidati, sia Trump che Biden, sostengono a questo punto. Per esempio, Biden vorrebbe penalizzare le compagnie che fanno outsourcing o comunque si spostano altrove e non solo, ha un programma Biden per far spendere al governo federale 400 miliardi di dollari nei prossimi anni in materiali e servizi fatti rigorosamente negli Stati Uniti.
A.S.: Mi sembra che anche Trump ha combattuto questa cosa. Vuole far ritornare le imprese a riprodurre in America, ha combattuto contro l’Offshore, no?
C.C.: Questo è stato un cavallo di battaglia di Trump ma sorprendente è che i democratici siano sull’agenda economica, non dico combaciano ma sono più vicini di quanto si pensi. Faccio altri esempi rapidamente per rispondere alla tua domanda. C’è stato un nuovo accordo di scambio tra gli Stati Uniti, il Messico e il Canada che ha sostituito il vecchio NAFTA del ‘94 fatta da Bill Clinton, è lo United States Mexico Canada Agreement e questo accordo viene supportato anche dall’amministrazione Biden che non lo vorrà cambiare. Quindi, dal punto di vista fiscale e dal punto di vista – più che fiscale – di valorizzare ciò che è americano, di mettere al primo punto l’America meno multinazionale e più concentrata su sé stesse, le agende combaciano.
A.S.: Carlo, forse non so se sei d’accordo, un grosso diverbio c’è stato ultimamente su una dichiarazione che ha fatto Biden in merito al petrolio, le aziende petrolifere e quant’altro. Ha detto che lui non le sponsorizzerà più come sta facendo Trump.
C.C.: Sì, infatti uno dei punti invece dove i due divergono è sicuramente l’agenda green, anche se su questo punto poi però di fatto Biden ha fatto una parziale marcia indietro. Di certo Biden vuole introdurre un piano di riduzione delle emissioni, che punta quasi ad azzerare le emissioni di ossido di carbonio nella generazione elettrica entro il 2035. Sapete che nelle campagne elettorali si fanno grandi promesse, si sparano grandi cifre. Quindi se già avete alzato più di un sopracciglio è normale. Però di fatto Biden ha introdotto nella sua campagna elettorale una pledge, cioè una promessa di investire 2000 miliardi di dollari, cioè 2 trilioni, in un piano che porti ad azzerare le emissioni di diossido di carbonio nella generazione elettrica nel 2035. Una sorta di Green New Deal cioè “nuovo piano green” come quello che ha lanciato la Commissione europea. Questo è un punto dove sicuramente le agende economiche divergono. Biden vuole raggiungere gli Stati Uniti al famoso accordo di Parigi, dal quale Trump se ne era uscito, però per esempio non ci sarà il ban, cioè il bando della cosiddetta fracking. Che cos’è? È l’estrazione di petrolio fatta dalle argille da scisto, da molti ritenuta molto inquinante, Trump l’ha sempre appoggiata…
A.S.: È quella che ha permesso agli USA di diventare autonomi, anche di esportare petrolio.
C.C.: Certo,i primi produttori di petrolio al mondo grazie al fracking, superando anche l’Arabia Saudita. Su questo punto però, attenzione, Biden non ha detto che renderà il fracking illegale. “Non lo bannerò, non lo metterò al bando” e quello che vi sto dicendo è un virgolettato che risale a settembre. L’unica cosa che Biden farà sarà quella probabilmente di eliminare la possibilità di aprire nuovi impianti su territorio federale. Questo per dire cosa? Che le due agende sono più simili di quello che si pensi. Sicuramente il settore green o il settore legato all’energia pulita potrebbe avere una spinta, ma la volontà è quella di entrambi i candidati di portare, con politiche fiscali molto molto aggressivi, gli Stati Uniti di nuovo sul territorio della crescita. Quei tassi di crescita che caratterizzavano il paese fino al primo trimestre del 2020 che poi il Covid ha estirpato. Biden non spegnerà la lampadina della ripresa tramite stimolo fiscale, farà in parte quello che potrebbe fare Trump: sostenere la ripresa attraverso un potente stimolo fiscale.
A.S.: Comunque Carlo, un’altra cosa da considerare – dimmi se mi sbaglio – è che, a parte chi diventerà presidente, bisognerà vedere anche le camere chi le conquisterà.
C.C.: Assolutamente, perché lo abbiamo visto in questi giorni. Per chi ci sta ascoltando il Congresso americano, che è l’equivalente del Parlamento italiano, che è composto da Senato come in Italia, e House of Representatives che è come la Camera dei Deputati italiana, doveva trovare un accordo su un secondo piano di stimoli. Come se fosse un nuovo decreto del governo di sostegno all’economia che deve essere convertito. Questo accordo non è stato trovato perché democratici e repubblicani, molto divisi, non hanno raggiunto un accordo. Se ne riparlerà dopo le elezioni, intanto si stanno perdendo settimane importanti. Quindi se dalle elezioni dovesse saltare fuori due camere divise, frazionate, dove non è semplice raggiungere una maggioranza qualificata, a quel punto potrebbe essere un problema perché l’implementazione, dare l’ok e il semaforo verde a dei piani di stimolo proposti dal segretario del Tesoro, diventerebbe più complesso. Sai bene, Alfonso, che il timing è tutto negli stimoli fiscali, lo stiamo vedendo adesso per esempio con il decreto Ristori del governo.
A.S.: Sì, certo. Quindi è molto complicato, ma quindi tu cosa ne pensi? Che succederà a livello economico per l’Europa e per l’Italia dopo le elezioni americane? Qual è l’idea che gira nell’ambiente?
C.C.: Allora, facciamo una premessa. Noi il più delle volte ci limitiamo a descrivere i fatti quali sono, c’è però sicuramente la consapevolezza che un risultato elettorale netto potrebbe piacere alle Borse. Che cosa vuol dire? Una vittoria netta di un candidato o dell’altro, renderebbe più difficile da parte dello sconfitto delegittimare l’esito della votazione. Lo scenario e i mercati non vogliono vedere, non è un’opinione di Carlo Cerutti ma delle persone che intervistiamo ogni giorno, è un voto conteso, un testa a testa. Una sconfitta, ipotizziamo, di Trump di minima misura che lo porti a questionare la legittimità del voto, a creare una sorta di vuoto politico. Lo abbiamo già assistito, Bush contro Gore nel 2000 a memoria con il conteggio dei voti in Florida. Questo al mercato non piacerebbe.
A.S.: Ai mercati non piace mai l’incertezza, mai. Quando si prende una direzione o l’altra, poi si decide cosa fare, ma se non si sa è la cosa peggiore di tutti. Ai mercati non piace, e vanno sempre male quando c’è l’incertezza.
C.C.: Quindi visto la fase anche molto negativa dei mercati americani di questa settimana, i cali molto pesanti, il fatto che lo Standard & Poor’s sia di fatto arrivato a bilancio negativo da inizio mese, lo scenario che potrebbe portare a un rialzo delle Borse americane e di conseguenza al traino di quelle europee. Perché ciò che fa gli Stati Uniti fa anche l’Europa, l’equity europeo il più delle volte. Uno scenario che potrebbe portare un rialzo potrebbe essere votazione chiara, si sa subito chi sarà il presidente a partire dal 20 gennaio, non delegittimato e approvazione di un piano di stimoli in tempi rapidi. L’ultima volta fu 2.000 miliardi, penso ad aprile. Una nuova iniezione così potente di stimoli fiscali, con un presidente certo, potrebbe ridare spunto alle Borse americane che hanno di fatto perso in queste settimane, in questi giorni, perché ci si sta accorgendo che si andrà incontro con buona probabilità a nuovi lockdown.
A.S.: Alla fine ti ho detto che ti avrei detto quello che penso io. Guarda, io ho letto tantissime ricerche di tantissime società di gestione molto importanti e tutte dicono che comunque le Borse poi salgono, qualsiasi sarà il presidente. Hanno fatto vedere dei grafici che dal ’33, da quando esiste lo Standard and Poor’s, a parte qualche piccola oscillazione di breve termine comunque poi le Borse dopo un po’ sono sempre salite. Qualsiasi sia, democratico o repubblicano quindi ecco perché noi ci stiamo affermando tanto ma sul breve termine. Poi passati sei mesi o un anno, se l’economia va bene o a destra o sinistra – tra parentesi perché poi i repubblicani e democratici son destra e sinistra per modo di dire – andranno su. Questo è quello che secondo me succederà.
C.C.: Sì ma poi devi considerare un’altra cosa, Alfonso. Quando noi parliamo di Borse americane dobbiamo considerare che il famoso pacchetto di titoli FANG: Facebook, Amazon, Netflix, Google e aggiungiamoci anche Microsoft, NVIDIA, Zoom, sono decorrelati dall’andamento dell’economia reale. Abbiamo tutti fame di tecnologia, ne avremo ancora di più in futuro e di conseguenza questi titoli che hanno un impatto in termini di capitalizzazione molto elevato. I titoli che ho menzionato insieme valgono come tutto il resto del NASDAQ, per farlo capire ai nostri ascoltatori.
A.S.: Valgono il 25-30% del mercato, anche 40% se sommiamo questi altri che hai detto.
C.C.: Esatto, il mercato è fatto da un manipolo di pochi titoli, non ho messo dentro le società di pagamenti elettronici come Visa e MasterCard, ma il mercato americano ha evidenziato anche già a febbraio quando c’era il Covid in Europa, ad inizio febbraio/marzo, una decorrelazione con l’andamento dell’economia reale. Se non c’è incertezza, a prescindere da quanto flette il PIL americano se dovesse flettere ancora nel quarto trimestre per nuovi lockdown – non lo so, lo vedremo – le borse poi si basano su tanti titoli tech di cui tutti sono affamati.
A.S.: È perché ci servono. Ci servono per vivere oggi, tutti questi titoli che hai nominato, da Netflix, Zoom, Google, Facebook e quant’altro. Ci servono e quindi li usiamo, e quindi guadagnano e quindi salgono, non c’è niente da fare. Passiamo ad un altro grande argomento che è fonte di polemiche incredibili da tutte le parti in Italia, il Mes. Del Mes, io ho fatto questa considerazione, ma cosa si pensa a livello europeo – perché insomma, tu intervisti tanti personaggi, non solo italiani ma anche a livello europeo – del fatto che nessuna grande nazione lo stia chiedendo. Tutti dicono che hanno paura della stima del debitore insolvente, perché nessuno lo sta chiedendo e qual è la risposta che secondo te potrebbe essere più adeguata?
C.C.: Innanzitutto tu mi ha chiesto che cosa ne pensa l’Europa e partiamo da un virgolettato, quando tu mi chiedi l’Europa io ho in mente non il meccanismo intergovernativo degli Stati ma la Commissione, e nella commissione c’è un signore che conosciamo tutti che si chiama Paolo Gentiloni (ex premier). Ora è, chiamiamolo impropriamente, il ministro dell’Economia dell’Europa, il commissario degli Affari economici e monetari. Lui, il 24 di luglio, aveva dichiarato letteralmente “L’Italia prenda il MES. Conviene.”. Questo viene dal più alto livello economico europeo, se non consideriamo la BCE un’autorità differente, distante e indipendente.
Quindi, l’Europa pensa e ritiene che soprattutto i Paesi che hanno avuto più tensioni in passato, negli anni della crisi del debito sovrano come l’Italia a rifinanziarsi sul mercato, possono avere accesso alla linea Pandemic. Ci sono due fattori da considerare, io esprimo i fatti come giornalista e le considerazioni le fate voi. Quindi non dirò se conviene o meno personalmente. Questi sono i fatti…
A.S.: Ti tendo delle trappole ma tu non ci caschi mai, mannaggia la miseria, vabbè dai. Ci provo sempre però, eh!
C.C.: I fatti sono questi. Primo, lo hai menzionato tu, il rischio stigma. Il fatto che – e lo ha menzionato lo stesso presidente del Consiglio – chi ricorre al MES, viene visto come uno Stato debole. Questo è un auto convincimento, perché il MES è associato non alla linea di credito endemica ma a tutto ciò che era previsto in precedenza, a tutti gli strumenti nella cassetta degli attrezzi del MES che di fatto erano stati associati ed erano stati creati nella crisi del debito sovrano, a maggio del 2012. Quindi si ha paura, ed è una paura evidente. Poi, una seconda considerazione. Abbiamo visto tutti che i costi di rifinanziamento del debito pubblico italiano sono scesi grazie alle politiche della Banca Centrale Europea. Questo ha portato, per esempio il rendimento sul titolo di Stato a 10 anni – il famoso BTP a 10 anni, e il benchmark cioè il riferimento a cui si guarda – a vedere un rendimento sceso intorno allo 0,7%.
A.S.: Sì, infatti ti avrei fatto una domanda mirata proprio su questo.
C.C.: Il discorso è quello, più scendono i costi di rifinanziamento del debito pubblico, più chi è in posizione di potere dice “Sì, ma si riduce anche la convenienza e il risparmio”.
A.S.: Infatti la vulgata di chi non lo vuole dice “Ma se collochiamo i BTP, ci costa il tasso quasi uguale al MES ma non abbiamo nessuna condizionalità, che ci sia o no. Poi qui ci sono mille interpretazioni, c’è chi dice che ci sono, chi non ci sono, le hanno levate… Mettiamo i BTP, sono i nostri, nessuno ci deve dire niente e facciamo come ci pare. Questa è la risposta, no?
C.C.: Certo, poi c’è un tema di risparmio che comunque c’è. Per farlo capire ai nostri telespettatori, è un dato oggettivo verificabile con un decennale allo 0,7%, se si reperissero sul mercato le stesse risorse, ricorre al MES comporta un risparmio matematico. Questo è un risparmio lordo-matematico di circa 350 milioni all’anno, che è una cifra comunque importante che consente di realizzare tante cose. Bisogna poi però vedere appunto se c’è la volontà politica di farlo e quanto pesa questo rischio/stima. Paradossalmente in molti temono che ricorrendo al MES ci possa essere appunto l’etichettatura di “Stato debole” ancora in difficoltà.
L’Italia ha il debito più alto in questo momento della sua storia, e in proporzione al PIL e in valore assoluto sopra i 2500 miliardi, ma mai come in questo momento ha una facilità di accesso ai mercati e quindi diciamo che, per chi ricorre al ragionamento che tu menzionavi poco fa, è abbastanza semplice utilizzare questa maniera di argomentare.
A.S.: Certo, Carlo. Anche perché la BCE ci sta comprando i nostri titoli a piene mani, quindi è un po’ più semplice collocarli quando sai che comunque c’è dietro un bel paracadute della BCE. È per quello anche che i tassi sono scesi così tanto. È normale, no?
C.C.: Certo, c’è anche un altro dettaglio, è un po’ tecnico ma è importante. La BCE sta acquistando i titoli, non solo col programma di Quantitative Easing che va avanti, ma con questo programma di acquisto titoli emergenziale, che si chiama con questo acronimo un po’ strano “PEPP”. Cosa vuol dire? Che la BCE si è messa a comprare titoli di Stato e non solo per contenere appunto i rendimenti dei titoli di Stato, ma c’è un dettaglio tecnico che è questo: la BCE in precedenza poteva acquistare solo il 33%, un terzo, di ogni emissione. Il Tesoro emetteva dei titoli, sul mercato secondario cioè dagli intermediari finanziari, la BCE ne poteva acquistare di ogni emissione solo un terzo. Questo tetto è saltato, quindi la BCE sul mercato secondario potrebbe anche comprare il 100% di un’emissione. È un piccolo dettaglio ma che ha contribuito tanto ad abbassare le singole emissioni, perché chi detiene i titoli di ogni missione sa di poterli teoricamente vendere anche tutti se vuole alla Banca Centrale Europea, senza incorrere in limiti da Francoforte.
A.S.: Certo, questa è la grande risposta che ci sta dietro questo discorso. Collegato con il MES, arriva il Recovery Fund che sembrava approvato, no? Fatto, tutto a posto, grandi festeggiamenti, sarebbe arrivato tra poco però dopodiché stanno scaturendo un sacco di problemi burocratici che, l’analisi che ho fatto io da povero consulente finanziario, sembra che davanti a tutti tanti Paesi sono stati forzati ad accettarlo però poi dietro le quinte creano un sacco di problemi regolatori, tattiche dilatorie, per non farli poi arrivare mai questi soldi del Recovery Fund. Questo è quello che mi sembra succeda, no?
C.C.: Certo, innanzitutto ci sono alcuni Paesi che hanno dichiarato che per il momento non vogliono i soldi del Recovery Fund, per esempio la Spagna lo ha dichiarato il 19 o il 20 di ottobre.
A.S.: Sì, ci sono voci che girano che dicono che anche noi rifiuteremo quelli che sono in prestito e prenderemo solo quelli a fondo perduto. Questa è un’altra voce che gira…
C.C.: Guarda, non ho idea di che cosa possa fare il governo. Di certo l’impostazione del Recovery Fund attuale è frutto di un forte sforzo di mediazione diplomatica che Conte fece in quel Consiglio lunghissimo di quattro giorni. L’Italia avrà tra contributi a fondo perduto e prestiti, un paniere di 209 miliardi di euro, che non è poca cosa.
A.S.: No, sono tantissimi soldi, non sono mai arrivati così tanti soldi di cui una 80ina di miliardi sono proprio a fondo perduto totale.
C.C.: Esatto, tra l’altro – una piccola parentesi a mio parere utile per chi ci ascolta – non è l’unico programma previsto in cui la Commissione europea, in quanto emittente di massima sicurezza tripla A per quattro agenzie di rating su cinque (solo S&P non gli dà la tripla A), emette dei bond e poi con i soldi li presta a tassi vantaggiosi agli Stati membri. Questa settimana abbiamo visto che un altro piano chiamato “Sure” per sostenere le politiche di cassa integrazione di sostegno al lavoro, ha funzionato bene. La Commissione europea ha emesso giovedì scorso i bond, li ha emessi per una ventina di miliardi e ha avuto una domanda enorme per 220 miliardi, e ha subito rigirato questi soldi questa settimana, 10 miliardi di euro al Tesoro. Lo ha fatto ieri. Quindi tecnicamente si può fare. La Commissione europea è in grado di farlo e il mercato è abbastanza, si direbbe in gergo, “profondo” per assorbire questa emissione da 750 miliardi di euro di bond della Commissione. È più però complessa la strada per la sua approvazione. Innanzitutto perché il Recovery Fund è legato all’approvazione del quadro finanziario pluriennale della Commissione europea, dell’Unione Europea.
A.S.: Devono alzare la contribuzione sul bilancio europeo dallo 0,7% all’1-1,2% mi sembra, una cosa del genere.
C.C.: Anche in mancanza della Gran Bretagna che, di fatto sottraendosi ai giochi non è più un contribuente. Il fatto che questa negoziazione sul, chiamiamolo impropriamente, “budget europeo” fino al 2027 (per il 2021-2027) non si ancora chiusa, rende difficile portare la partita del Recovery Fund in porto. C’è anche poi un’altra questione che potrebbe essere attivata, non voglio tediare nessuno, è quella del famoso freno di emergenza. Cioè la possibilità di bloccare l’iter di approvazione e di erogazione dei fondi del Recovery Fund, a fronte delle perplessità di un singolo Paese. Questo è forse proprio complesso adesso, perderei 20 minuti a spiegarlo. Però ci sono parecchi ostacoli e soprattutto c’è una certa ritrosia di alcuni Paesi, Olanda in testa, ad accettare qualcosa che forse per sfinimento a luglio hanno accettato. Per esempio l’Olanda sta tentando, già a settembre, il gioco di appellarsi al rispetto dello Stato di diritto.
I fondi vanno solo agli Stati che rispettano lo stato di diritto, Polonia ed Ungheria ne verrebbero esclusi.
A.S.: Perché sanno già che quelli sono esclusi, allora poi non arrivano a nessuno e quindi poi così bloccano tutto. Come ho detto io, cercano di trovare delle cose burocratiche per bloccare quello a cui erano stati costretti in quel momento.
C.C.: Esatto, diciamo che l’escamotage olandese sullo Stato di diritto e il secondo strumento che è quello del freno di emergenza secondo cui ogni Stato membro può esercitare un diritto di veto sull’adozione di normative europee in alcune materie, sono uno o due che rendono più complesso il cammino del Recovery Fund. L’impressione è che comunque i vertici europei, la Commissione europea che è stata proponente il progetto del Recovery Fund poi deciso dal Consiglio, stia spingendo al massimo perché si faccia e l’aggravarsi della pandemia possa portare molti Stati a rivedere le loro posizioni sui ricoveri. Perché forse dopo il primo lockdown che ha colpito più duramente noi, questi fondi europei erano più necessari a Paesi periferici come Italia e Spagna. Vediamo però l’impatto economico, quale potrebbe essere su altri paesi della seconda ondata. Germania e Francia hanno annunciato un lockdown oggi, quindi vediamo. Perché poi, come ben sai Alfonso, tutto si decide a livello dell’asse franco-tedesco e se c’è la necessità di far muovere soldi rapidamente dal mercato tramite l’emissione di obbligazioni da parte della Commissione Europea agli Stati, ecco che se si muovono Macron e Merkel allora c’è una netta accelerazione e si fa, in una maniera o nell’altra, come è sempre accaduto per le crisi dell’ultimo decennio.
A.S.: Certo, lo sappiamo tutti che quelli che contano più di tutti purtroppo sono loro e siamo appena un po’ dopo, siamo un po’ il fratello minore, quello un po’ disastrato e spendaccione. Siamo considerati in quel modo lì, no?
C.C.: Sì, con la differenza che adesso però se il secondo lockdown che viene annunciato in Francia o un lockdown soft – quindi chiusura di bar e ristoranti – in Germania morde anche le loro economie, penso più alla Francia che alla Germania che ha una corazzata manifatturiera mentre la Francia dipende più da servizi e turismo, forse ne avranno bisogno maggiormente. La situazione della pandemia in Francia è grave. 50mila contagi registrati domenica, ci sono medici che hanno detto che ce ne sono 100mila, persone che di fatto stanno male, sono in isolamento, coprifuoco dalle 21 alle 6 in 56 distretti. Adesso con questo lockdown vedremo come ne emergerà l’economia francese alla fine del quarto trimestre, dopo il rimbalzo del terzo. Questo potrebbe essere un ago della bilancia forte perché, se a quel punto Francia e Germania avessero bisogno della piccola componente del Recovery che gli spetta per puntellare la loro crescita, questo potrebbe essere comunque una sorta di catalizzatore ulteriore di…
A.S.: … di fatto risolutivo, che porterebbe poi veramente ad erogare questi soldi nel 2021.
C.C.: Certo, però va specificato che alla Germania gliene vanno ben pochi. Il maggior beneficiario sarebbe l’Italia di gran lunga.
A.S.: Sì. Senti, l’altro argomento su cui ti volevo chiedere un parere, lo abbiamo quasi un po’ affrontato prima. L’avvenimento è importante c’è stato in questi ultimi giorni è che Standard & Poor’s, l’agenzia di rating, ha confermato il giudizio sull’Italia e questo ha contribuito, insieme con la politica di acquisti di titoli della BCE e l’hai specificato poco fa, a tenere bassi i tassi dei BTP. Infatti se, come detto tu, sul decennale – io lo avevo preso sul triennale come riferimento, sul triennale oggi un BTP a tre anni ha un tasso negativo dello 0,14%. Quindi la domanda che ti volevo fare, alla quale hai parzialmente risposto prima, è che questo risultato sia dovuto anche al Recovery Fund e a quello che hai detto prima, ai nuovi contributi che ci stanno mettendo anche la BCE in acquisto. Sennò non si spiega perché in Italia prima eravamo così cattivi a livello debitorio, così messi male, e adesso stiamo quasi azzerando lo spread con i nostri titoli dei Bund tedeschi. Tu ci vedi qualche altra ragione in questo fatto della discesa dei tassi?
C.C.: La ragione principale è la politica iper-accomodante della Banca centrale europea. Tra l’altro, citavi in precedenza dei report che leggevi, noi qua in redazione ne leggiamo moltissimi e si parla di una politica a tassi zero forever, cioè per sempre, da parte delle banche centrali europee. Cioè la normalizzazione della Banca centrale europea della politica monetaria, probabilmente dopo questo choc non avverrà per molti anni, il che rende sotto controllo di fatto il rifinanziamento del nostro debito pubblico. Torniamo a S&P, hai detto una cosa molto importante ma c’è un dettaglio in più associato al rating. C’è un outlook, cioè una prospettiva con cui si potrebbe comportare l’agenzia di rating.
A.S.: L’outlook è che cosa prevedono che succederà. Cioè, loro dicono “Per adesso lo confermiamo e prevediamo che nel prossimo futuro sarà così.” Quindi è un outlook positivo, è una buona notizia.
C.C.: Sì, l’outlook è stato portato a stabile, vuol dire che al prossimo giro, al prossimo giudizio di S&P previsto fra qualche mese, non ci sarà sicuramente – a meno di sconvolgimenti enormi – un downgrade.
A.S.: Il downgrade è un abbassamento del rating, cioè un abbassamento del voto solidale. Tutte le volte che lo abbassano, di solito i tassi salgono perché siamo più pericolosi come prenditori di denaro, ecco.
C.C.: Non solo ma in una pagella che va a memoria dalla tripla A alla D, secondo un criterio decrescente per cui il merito creditizio si abbassa (tripla A, doppia A, tripla B e via discorrendo…) c’è un livello, e noi siamo due gradini sopra questo livello, sotto il quale le obbligazioni vengono identificate governative. Non solo come “non investment grade” cioè obbligazioni speculative, obbligazioni dal merito creditizio dubbio.
A.S.: I famosi “junk bond”, cioè i bond spazzatura.
C.C.: A me non piace questa definizione, preferisco dirla più oggettivamente bond che non hanno un merito creditizio di livello di investimento. Perché è importante che S&P non ci abbia tagliati? Perché così non ci avviciniamo a questo pericoloso discrimine/soglia, sotto la quale molti fondi pensione, molti fondi di investimento, molti investitori istituzionali che si chiamano “Bigmoney” cioè la gente che ha davvero i soldi e muove enormi masse, non possono investire e sarebbero obbligate a disinvestire. Immaginatevi, peggiora la pagella sull’Italia e questi vendono i loro titoli. Invece così facendo si allontana questo aspetto. Finisco dicendo che la decisione di S&P era un po’ nell’aria perché una settimana prima di questa revisione migliorativa del rating, S&P aveva fatto anche delle previsioni economiche abbastanza lusinghiere per il nostro Paese. Prevedeva per quest’anno – ora bisognerà vedere se scattano ulteriori lockdown nel nostro Paese, speriamo di no – che l’economia italiana si sarebbe contratta “solo” del 8-9%. Addirittura di meno di quanto prevedeva il governo, e l’anno prossimo un rimbalzo di più del 6%. Quindi per S&P, l’economia italiana aveva dimostrato resilienza grazie al terzo trimestre ed era pronta a un grande rimbalzo il prossimo anno, cioè gli americani vedono più positivo di quanto hanno fatto in passato in merito al nostro Paese. Poi siamo nel pieno della ripresa del Covid e le previsioni, come sai Alfonso, sono scritte purtroppo sull’acqua con questo maledetto virus.
A.S.: Certo, tutto sta succedendo velocissimamente, Carlo. Senti, legato a questo discorso dell’agenzia di rating, un’altra grossa notizia e poi ti lascio andare al tuo lavoro. Il fatto sempre collegato con questo è che invece tutto quello che è il debito cinese è stato elevato da tutte le agenzie di rating, e tantissimi Bigmoney e Spender, come li chiami tu, i fondi pensione e tutti gli investitori istituzionali, dovranno aumentare di molto la quota dell’obbligazione cinese nei loro portafogli.
C.C.: Beh, di sicuro quello che possiamo dire basandoci sui dati macroeconomici è che il PIL cinese…
A.S.: È l’unico Paese che avrà un PIL positivo quest’anno, si dice.
C.C.: Assolutamente, consideriamo che la pandemia è partita da loro. Magari era già in altre parti del mondo, ma i casi si sono verificati proprio in Wuhan. Il PIL del terzo trimestre cinese è del 4-9% ed è + 4-9%, badate bene, anno su anno cioè rispetto al terzo trimestre del 2019…
A.S.: Che era un anno normale, senza Covid.
C.C.: Un anno normale. Io ho visto e mi ha molto impressionato il racconto di una blogger, lo proponeva il sito di Repubblica, che ha testimoniato come la vita sia quasi tornata alla normalità. Come un lockdown durissimo, un utilizzo del tracciamento e dei Big Data veramente chiave e comunque forte, sottolinea la capacità della Cina e il salto quantico che ha fatto nella tecnologia. Un rispetto assoluto delle regole da parte della cittadinanza e si sono ripresi, quindi adesso incominciano a marciare. Magari meno del dovuto perché il mondo non li segue, però in questi giorni il Partito Comunista Cinese sta riflettendo anche sul piano al 2025 e ci sarà un progressivo affrancamento dalla dipendenza della crescita estera. La Cina non è più quella che produce per il resto del mondo. La Cina ha prodotto una classe media ricchissima, ci sono centinaia di milioni di persone che sono più ricche di un Europeo benestante. Il PIL pro capite è ancora basso inferiore a quello del Portogallo…
A.S.: È perché sono tantissimi, quando vai a fare la divisione è normale che viene basso…
C.C.: Questa sorta di autarchica indotta dal Covid dimostra che loro comunque ce la stanno facendo grazie al rispetto delle regole, alle tecnologie e a una vigilanza molto severa.
A.S.: Se lo possono anche permettere perché chiaramente il regime che c’è in Cina ti permette di fare cose che da noi non si possono fare, perché siamo un paese democratico. Quindi certe cose a livello tecnologico da noi non sono permesse e quindi non riusciamo a farle così profonde. Però sicuramente a livello economico è impressionante, quello che sono riusciti a fare. Quindi dovranno tenere conto, un po’ tutti gli investitori, che per il prossimo futuro un asset importante da inserire nei portafogli sarà sicuramente il debito cinese. I bond cinesi non sono più spazzatura ma sono un asset da tenere in considerazione. Era questo che volevo sapere, se eri d’accordo con me su questa considerazione.
C.C.: Beh, di sicuro la Cina ha una capacità economica di grandissima reazione per ripagare il proprio debito, visto anche la sovranità monetaria hanno. Quella People’s Bank of China non è un problema ma, se mi permetti, c’è anche un altro tema di cui non abbiamo parlato rapidamente. Le Borse cinesi sono arrivate ai massimi storici in termini di capitalizzazione aggregata, e se questo non bastasse il 5 di novembre ad Hong Kong e Shanghai…
A.S.: C’è l’ultima quotazione.
C.C.: L’ultima quotazione di una società, che forse alcuni di voi non avranno sentito ma preparatevi perché è come Facebook nel 2008, “Ant” che è una società controllata al 30% da Alibaba…
A.S.: Che è l’Amazon cinese. Così abbiamo un’idea di chi è Alibaba.
C.C.: Esatto. Ant che controlla dei sistemi di pagamento digitale è una FinTech, la potremmo chiamare impropriamente una società FinTech e molto di più, avrà API o una quotazione che la porterà a raccogliere 35 miliardi di dollari, la più grande di sempre. Anche l’equity cinese sta dimostrando comunque sorprese, novità…
A.S.: Più grande di Aramco, l’ultima quotazione più grande di tutti era stata quella dell’Aramco dell’Arabia Saudita del petrolio.
C.C.: Certo, era una compagnia petrolifera, il suo valore era determinato anche dai diritti sulle riserve sui giacimenti dell’Arabia. Qui è una FinTech che andrà a raccogliere 6 miliardi in più di Aramco, è incredibile. Loro hanno di fatto una ricchezza basandosi su dei servizi immateriali, non sul petrolio e questo è notevole. Ci dice in che direzione sta andando il mondo.
A.S.: Sicuramente sì. Senti, Carlo, ti ringrazio. Grazie di averci dato la tua opinione/visione. Tu sei più vicino a tante interviste di personaggi importanti, quindi hai riportato un po’ la visione globale di quello che erano queste cose, mi sembravano molto importanti da tenere in considerazione. Ti ringrazio della partecipazione. Se vuoi dire magari dove ti possono trovare, se qualcuno ti vuole scrivere e chiedere qualsiasi cosa, se vuoi dare i tuoi indirizzi social o quello che vuoi…
C.C.: Certo. Potete vederci come TV su 507 di Sky o video.milanofinanza.it. Sennò mi trovate come Carlo Cerutti su LinkedIn, canale tramite il quale ci siamo conosciuti io e Alfonso.
A.S.: Perfetto. Grazie ancora, Carlo. Ci sentiamoalla prossima, magari per qualche aggiornamento importante sulle varie vicende economico-politiche mondiali.
C.C.: Alla prossima, grazie mille.
Bene, allora anche questo episodio mi sembra sia stato molto interessante. Se sei arrivato fino ad adesso, i miei complimenti perché sei come al solito un eroe, per quasi 45 minuti di intervista. Se ti è piaciuto lascia le 5 stellette su Apple Podcasts e una bella recensione, così questo podcast potrà andare a sempre più persone che possono interessarsi a questi temi.
Ci sentiamo alla prossima puntata. Saluti!
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